APPROFONDIMENTI

Altro obiettivo fondamentale è l’informazione: sulla storia del prodotto, in modo che non sia valutato solo in base al tradizionale binomio qualità/prezzo; sulla composizione del prezzo che si paga, per garantire trasparenza per ognuno degli stadi che accompagna il prodotto dalla produzione al consumo.

Quindi fare in modo che l’acquisto non sia solo scambio commerciale ma anche, e soprattutto, culturale, attraverso momenti di incontro e dibattiti, laboratori di nuove prospettive di sviluppo, campagne di sensibilizzazione per promuovere l’interculturalità e la conoscenza di popoli distanti ma in realtà così vicini.

Centrale in questo discorso sono il rispetto del consumatore e delle condizioni di lavoro nei paesi produttori: da qui la promozione della coltivazione biologica per la salvaguardia della salute del coltivatore, del consumatore e del pianeta tutto. Altro elemento fondante è l’eliminazione dell’intermediazione nello scambio, preferendo il contatto diretto: ordini, conferme degli ordini, determinazione dei prezzi, avvengono in modo diretto, in un rapporto di reciproco rispetto e fiducia.

Spieghiamo cos’è il commercio equo e solidale e facciamolo in modo semplice, attraverso un piccolo esempio.
La maggior parte di noi ogni mattina beve una tazzina di caffè che, se comprata in un bar costa circa 70 centesimi di euro. La coltivazione della pianta del caffè che avviene generalmente in Sud America, dove cresce per le condizioni climatiche favorevoli, e il processo di coltivazione e selezione dei chicchi è lungo e faticoso.
Ebbene di quei 70 centesimi solo 2 centesimi è il guadagno del contadino sud americano, ciò quindi spinge i coltivatori a cadere in mano agli usurai, e spesso, a ritirare i figli dalla scuola per farli lavorare nei campi.
Dietro tutto ciò c’è una logica di sfruttamento da parte delle maggiori multinazionali del caffè che pagano sempre meno i produttori perché hanno una posizione di monopolio, e aumentano così i propri profitti. Basti pensare che il caffè rappresenta il 3° prodotto più venduto al mondo e che solo 4 multinazionali controllano l’80% delle vendite del mercato mondiale; questo vale anche per altri prodotti di tipo coloniali come il cacao, il tè, lo zucchero di canna e le banane.
E’ chiaro che tutto ciò non è giusto e va contro i diritti universali dell’uomo.
Per dare una risposta a questo tipo di problematiche negli anni settanta nasce e si sviluppa il commercio equo, come attività senza scopo di lucro, prima in Europa e poi in Italia attraverso progetti di cooperazione con i paesi in via di sviluppo. I progetti miravano, e mirano tuttora, a
realizzare un commercio giusto con i Paesi del Sud del Mondo pagando un prezzo equo a contadini e artigiani e sostenendo attività sociali come rimboschimento, costruzione di scuole, pozzi, o anche attrezzature per migliorare la produzione.

Le organizzazioni che operano per un commercio equo e solidale sono accreditate a livello mondiale da IFAT (International Fair Trade Association), la federazione mondiale del commercio equo e solidale che definisce gli standard che gli operatori di commercio equo accreditati sono vincolati a rispettare, in un’ottica di verifica del corretto operato di tali organizzazioni e di trasparenza verso i consumatori e gli altri interlocutori.